
Un cocktail mentale per il dopo-Covid – Decima puntata – Mindset self-destructive
Questa mentalità, che implica un atteggiamento di sfida radicale e permanente nei propri stessi confronti, è un buon antidoto alla tentazione fatale, da Kodak a Blockbuster, di replicare il successo continuando a fare le cose come si sono sempre fatte. Per coltivarla vi sono alcune tecniche. La più nota è suggerire ai manager di immedesimarsi nella concorrenza attuale e potenziale, assegnando loro la missione di “distruggere” la propria organizzazione. L’esercizio costringe a parlare apertamente dei punti deboli dell’organizzazione e stimola la generazione di idee su come difendersi prima che concorrenti e nuovi entranti possano approfittarne. Un altro esercizio, ideato da Åsa Silfverberg per smascherare i problemi organizzativi di cui nessuno si lamenta apertamente, ma di cui tutti borbottano e che hanno il potere di avvelenare il clima e minare il funzionamento delle organizzazioni, si chiama Stinky Fish (letteralmente pesce che puzza). In pratica si chiede ai partecipanti di esplicitare incertezze, preoccupazioni, “tabù”, “fantasmi del passato” e “scheletri nell’armadio” della propria organizzazione per passare poi alla fase di soluzione dei problemi fatti affiorare. Due punti di attenzione riguardo a questa mentalità: richiede un clima organizzativo di fiducia e va bilanciata con l’apprezzamento, cioè con la capacità di vedere gli aspetti positivi e valorizzarli. Infatti, se è sovra-dosata, cioè se diventa l’unica lente attraverso la quale si guarda alla propria organizzazione, la mentalità self-disruptive abbatte il morale organizzativo e alimenta il cinismo.
Queste considerazioni sono incluse in un articolo che ho scritto per il PROGETTO MACROTRENDS 2020-2021 della Harvard Business Review Italia.