
Siamo entrati nell’era dell’anti-ambizione
Le buzz-words (parole alla moda che compaiono ovunque in articoli e dibattiti) che hanno definito il mondo del lavoro negli ultimi due anni ne sono lo specchio, ma anche la sfera di cristallo. Il glossario, letto nella sua interezza, rivela che la hustle-culture (mindset orientato al successo lavorativo a discapito del resto) veramente una cosa del passato e siamo entrati nell’era dell’anti-ambizione.
The Great Rethink. Il ripensamento riguarda il rapporto con il lavoro: secondo un’indagine di Gartner il 65% dei lavoratori ha ripensato al peso che vuole dare al lavoro nelle loro vite, facendo desiderare al 62% un grande cambiamento. La presa di coscienza avvenuta durante la pandemia ha evidenziato che lo status quo non era per nulla soddisfacente e non rifletteva le priorità per molte persone. Le organizzazioni hanno risposto con giornate di smart-working e, all’estero, con offerte di lavori completamente remoti. L’appetito viene mangiando, quindi, probabilmente, è solo l’inizio.
The Great Resignation. Le grandi dimissioni sono iniziate nel periodo pandemico, momento ideale per riflettere grazie al tempo liberatosi e all’interruzione delle routine. Dato che il fenomeno ha riguardato importanti numeri di lavoratori contemporaneamente, ha spostato i rapporti di potere esistenti.
The Great Reshuffle. Non tutti i dimissionari hanno cercato lavoro nello stesso settore, come di solito avveniva in passato, secondo un’indagine di McKinsey, la metà ha cambiato anche settore (è addirittura diventato di uso comune il termine industry-hopping) alla ricerca di un lavoro con un maggiore senso di scopo, cioè di una missione in cui si potessero identificare. Molte organizzazioni la cui mission non si presta naturalmente, stanno facendo salti mortali per soddisfare i purpose-seekers, per esempio supportando iniziative ad impatto sociale.
The Great Disengagement. L’engagement delle risorse è ai minimi, precisamente al 21% secondo Gallup, impattando negativamente il clima e facendo perdere produttività (si stima che un risorsa non ingaggiata abbia per l’organizzazione un costo pari al 18% della propria retribuzione).
Quiet Quitting. Nel video di TikTok che ha divulgato il termine, viene spiegato così: “Non lasci il tuo lavoro, lasci l’idea di fare di più e meglio sul lavoro”. Molti di coloro che, pur scontenti, per varie ragioni, non hanno cambiato lavoro, andando ad alimentare la Great Resignation e il Great Reshuffle, hanno optato per fare il minimo indispensabile (espressioni mantra: “Vivo per il weekend,” “Guardo l’orologio” “il mio lavoro è solo il mio stipendio”).
The Great Breakup. Con questa locuzione ci si riferisce alle donne leader che, in numeri senza precedenti, lasciano le loro posizioni per un miglior equilibrio vita-lavoro e, se appartengono al mondo corporate, anche per organizzazioni con un reale impegno per l’inclusione. Casi-bandiera: Jacinda Ardern, ex-premier neo-zelandese e Nicola Sturgeon, ex-premier scozzese (anche se nel caso dei politici le ragioni sono spesso più complesse).
Una nota di colore, che forse riassume tutto: il Time riporta che un corso dal titolo “Imparare a non fare niente” è il più gettonato dagli studenti di un college.
In conclusione: i segnali abbondano e ci dicono che bisogna ripensare alle leve motivazionali e alle employee value proposition, resistendo alla tentazione di interventi puramente “cosmetici” perché abbiamo visto che i lavoratori fanno sul serio.