
Cosa non dimenticare di un anno da dimenticare
Ecco 5 cose che quest’anno ci ha fatto capire.
- La normalità è un concetto che ha fatto il suo tempo. È stato l’anno in cui il concetto di normalità non ha passato lo stress-test. In passato, dopo le grandi crisi, si parlava di new-normal: un modo per riabilitare il concetto di normalità semplicemente ridefinendo lo status-quo. Abbiamo capito che conviene smettere di pensare alla normalità come normale: è un concetto che ha fatto il suo tempo, non è più utile, forse è fuorviante. Le implicazioni vanno oltre la pianificazione strategica. Per esempio, invece di prendere quasi tutto per scontato, dovremmo prendere quasi tutto con gratitudine.
- Bisogna diffidare del non-si-può-fare. È stato l’anno in cui alcune cose che sembravano impossibili sono state fatte, per esempio tutti i lavoratori nei servizi hanno lavorato da remoto da un giorno con l’altro. È vero che quando è in gioco qualcosa di importante la creatività va a mille, ma chiaramente in precedenza l’avevamo sotto-stimolata e lasciata atrofizzare. Dobbiamo incoraggiarla di più e sistematicamente, anche senza che ci sia di mezzo una pandemia o che Apollo 13 chiami la base Nasa per dire: “Houston, abbiamo un problema”. Come diceva Grace Murray Hopper, matematica e pioniera della programmazione (detta Nonna COBOL), la frase più pericolosa che esista è: “Abbiamo sempre fatto così”. La focalizzazione sulle mille ragioni per cui una nuova idea non possa funzionare, miscelata all’inerzia, è la kryptonite dell’innovazione.
- A volte la cosa più utile è non fare niente. È stato l’anno in cui abbiamo dovuto scegliere tra salvare l’economia o la vita. Ci è stato spiegato che il miglior contributo per fermare la pandemia era non fare nulla. Mai è stato così chiaro che l’iperattività e la fattività non sono necessariamente un valore.
- Bisognerebbe fare base-zero ogni anno. E’ stato l’anno in cui ci è stato imposto di eliminare tutto il non essenziale e abbiamo toccato con mano che molte delle nostre attività non erano così indispensabili (se un’attività viene eliminata e non succede nulla, è un buon indizio). Non abbiamo purtroppo l’abitudine di mettere in discussione periodicamente quello che facciamo: è così che le attività e le esigenze si accumulano rendendo l’indispensabile ipertrofico. Dovremmo fare base-zero ogni primo gennaio, imponendoci di ammettere al nuovo anno solo le attività in cui vediamo del valore.
- È meglio andare incontro a ciò che non conosciamo. È stato l’anno in cui la pandemia ci ha colti completamente impreparati, eppure era semplicemente un known unknown. E’ ancora più difficile attrezzarsi per gli unknown unknowns perché per definizione non si sa cosa siano finché non si manifestano. Ma non è impossibile: occorre sviluppare capacità di ascolto dell’ambiente (qualche segnalino premonitore di solito c’è), di analisi della situazione e di reazione rapida e organizzata. Se la normalità dei known knowns è cosa del passato, scappare da ciò che non si conosce è più rischioso che andargli incontro.